giovedì 6 novembre 2014

I wanna comb his beard, CHET FAKER @CLUBTOCLUB

Vincere qualcosa è di per sé abbastanza gratificante, quando poi si tratta di biglietti per un concerto di Chet Faker (biglietti che peraltro non erano in vendita singolarmente ma solo parte del forfait-da-ricchi Club to Club) questa è l'esperienza più vicina alla beatitudine che un essere umano possa provare.


Così mi sono ritrovata su un 18 a trangugiare birra del discount 8.5 e a cercare di calmarmi e darmi un tono da blogger prima di raggiungere l'Hiroshima.
All'ingresso, scopro che il mio nome è in lista con un +1 accanto e quindi non devo nemmeno litigare per far entrare a sgamo il pischello americano che mi accompagna. Mentre gli spiego che no, non deve più fingere di essere il mio fotografo, ci buttano in mano due consumazioni a testa (a me accidentalmente 3) e questo mi fa presagire il peggio, presagio confermato una volta dentro, quando scopro che i bar sono stati trasformati in giganteschi stand dell'absolut vodka, che offrono 3 tipi di cocktail: vodka lemon, vodka lemon blu, vodka lemon zuccheroso.
In sala majakovskij, sul palco ma leggermente defilato, c'è un dj dall'aria mediterranea. Mi avvicino e scopro che è quello del Doctor Sax: Wood Step. Mentre pompa timidamente nelle casse, io mi guardo intorno e mi accorgo di non aver mai visto quella sala così vuota, talmente vuota che la temperatura si aggira intorno ai 26 gradi, 20° in meno rispetto alla temperatura di un qualsiasi concerto degli Zen Circus.

                             Wood Step nel suo angolino
Oltre all'allarmante mancanza di pubblico, tutti sembrano avere un pass al collo o essere lì, come me, per aver vinto il contest.
Mentre mi abbandono a teorie complottistiche e viaggi vari, il mio accompagnatore mi urla nell'orecchio "looks like Portland". Attorno a noi un turbine di barbe, occhiali, beanie e camicie troppo abbottonate. Il problema fondamentale della massificazione, dell'omologazione e della globalizzazione in toto è il seguente: come faccio a sapere con chi di voi ho limonato all'Astoria se siete tutti uguali? Da quel momento in poi la serata è stata tutto un "Heyy ma te sei ***** del Mobbing Party?" "no".

                                    Lui non si chiama Alessandro
Sono le 23, secondo vodka-lemon-qualcosa e Chet Faker non si fa ancora vedere. Approfitto per andare in bagno, e ovviamente è in quel momento che il concerto inizia.
Chet Faker biascica e suona, e la folla lo acclama come a un concerto della bandabardò, nonostante dica cose piuttosto antipatiche. La scaletta non si allontana molto da quella casuale dell'app di Spotify ma lui è impeccabile. Fa letteralmente tutto, senza nemmeno il supporto di un MacBook, e ci piazza dentro pure l'improvvisazione.

                                 Chet Faker acconciato come un samurai
 In quel labirinto di barbe ne scorgo una conosciuta: è Johnny Fishborn. Parecchio ringalluzzito per l'effimero istante di celebrità commenta dicendo "è musica da sesso" e poi mi chiede affannato per quale rivista scriva.
                                   Johnny Fishborn che si diverte
Il concerto non dura molto, ancora soddisfatta per essere lì gratis mi bevo l'ultimo vodka lemon in quel bicchiere di lusso, che manco bisogna riportare al bancone in cambio di un euro, come è usanza all'Hiroshima Mon Amour e in qualsiasi bar di Berlino.
 

Decido di fare domande in giro, trovo due ragazze inglesi che urlano e si abbracciano e sicuramente si fanno anche un po' di pipì addosso e chiedo retoricamente se a loro il concerto sia piaciuto. Mi dicono di sì, dicono di amarlo ma non mi dicono perché e che vorrebbero pettinare la sua barba. Faccio loro una foto, che mi approvano solo al terzo tentativo perché nelle precedenti sembravano "troppo lesbiche".
                            "I wanna comb his beeeaaaardd"
Un pochino scoraggiata, approccio altre due ragazze dall'aria oltremodo hipster, sperando in una risposta deludente che potesse permettermi di fare la cosa che al mondo preferisco, ovvero umiliare le persone on line. Sorprendentemente sembrano preparate e dicono di aver apprezzato molto l'improvvisazione e il fatto che facesse tutto lui e tutto sul momento. Poi la conversazione si sposta sul "cosa studi-dove studi" e si parla inglese. Anzi non sono sicura che stessi ancora parlando con loro due.

                                   Ciao ragazze
Annebbiata dal mix vodka lemon-birra del discount mi chiudo in me stessa per un momento di sincera introspezione, e lo faccio accovacciata tra due macchine mentre cerco di non schizzare gli stivali appena comprati che dovrò indossare alla mia laurea. Ciò che ne deriva è uno scorrere lento e inesorabile di pipì che diventa metafora dei fluidi suoni della musica di Chet Faker e dello scorrere lento e inesorabile delle nostre esistenze.
                           La bozzza dell'articolo così come l'ho trovata stamattina

martedì 14 ottobre 2014

L'ELEFANTE NELLA STANZA


Il fatto che da alcuni giorni avessi voglia di ascoltare gli Smiths doveva essere presagio di cattiva sfortuna, o per lo meno di quel genere di cose insensate e inusuali che solitamente succedono a settembre. Ma anche ad ottobre, perché ormai le stagioni non iniziano e non finiscono più quando dovrebbero. Sebbene settembre non sia una stagione.
Fatto sta che il mio ex si sposa e sono d'accordo che possiamo intendere la storia come un serpente che si morde la coda, ma questi eterni ritorni mi stanno facendo pensare che il tempo, lo spazio, io stessa, la karma police, le stagioni, gli Smiths e tutto il resto non esistano.
È passato un anno e mentre Matty si trova a S
ão Paulo a bere caipirinha e mettere al dito di qualche brasiliana obesa un anello, io mi ritrovo al punto di partenza.
Un nuovo nuovo inizio in una vecchia università, l'autunno e la mia fatica di vivere.
Tra gli avvenimenti di maggiore rilievo di quest'ultimo periodo figurano l'aver cambiato l'immagine del profilo su facebook e aver scoperto l'eyeliner, per dire. Mi chiedo a questo punto se l'adolescenza finirà mai, se sia possibile una crescita.
Da piccola non avevo voglia di imparare a leggere l'ora con le lancette, sebbene ne riconoscessi l'importanza. "Queste sono cose che succedono da sé", mi dicevo, "senza che tu faccia nulla". Un po' come laurearsi, fidanzarsi o morire.
C'è un elefante molto grande in questa stanza che mi fissa, come a voler dire che dovrei alzarmi dal letto, rimuovere quel mascara da troppi giorni incastrato tra le ciglia e smettere di ascoltare canzoni post-punk, ché settembre è finito e gennaio non è ancora arrivato.
Il problema è che la mossa, l'unica mossa possibile, è restare fermi. Ho già detto e fatto troppo, sarebbe meglio lasciarsi colare addosso gli eventi, come qualsiasi personaggio di Camus farebbe.
L'ora e il luogo giusto arriveranno, e me ne sarei accorta già da molto tempo, se solo sapessi leggere l'ora con le lancette.

sabato 19 luglio 2014

PIERO ANGELA E TUTTO IL RESTO


"Sai cosa? credo che il rap sia nelle tue corde''
''Haha''
''No davvero.''

A quanto pare per fare rap bisogna essere intelligenti.
O per essere intelligenti bisogna fare rap?
Questo è quanto cercava di spiegarmi AndryMC -o qualunque fosse il suo nome tostissimo da rapper- mentre io gli spiegavo che sì okay forse sono una blogger ma il mio blog non ha senso di esistere, come nessun altro blog e, siamo sinceri, come nessun'altra cosa al mondo.
Insomma sono sveglia da dieci minuti e ho già fatto due grandi errori: iniziare questo post e camminare scalza sul pavimento di casa mia. Se allarghiamo il lasso di tempo di altre sette ore, invece, gli errori quadruplicano.

Ma partiamo dall'inizio.

Il tropismo è la forza che spinge le piante a crescere in una direzione piuttosto che in un'altra secondo luce e gravità.
Il tropismo in letteratura è una forza oscura regolatrice del mondo, che, in barba al nostro volere, ci spinge ad agire in un modo piuttosto che in un altro.
Per me il tropismo sono le cose che accadono perché devono accadere, anche se non fai niente affinché accadano.
Oppure le cose che non accadono, proprio perché fai di tutto affinché lo facciano.
Non che creda in qualche sorta di volere divino o destino o niente a cui non crederebbe Piero Angela, semplicemente ho bisogno di una scusa per giustificare i miei fallimenti.

In un caso o nell'altro ci sono cose che succedono e cose che non succedono, dicevamo, e il fatto che queste dipendano solo in minima parte dalle nostre azioni mi fa venir voglia di stare seduta in silenzio per alcuni minuti e forse decidere di farmi bionda platino.

Una volta qualcuno mi ha spiegato che i bambini fino circa ai due anni non capiscono che gli altri bambini sono esseri viventi e pensanti come loro e non attribuiscono agli altri più valore di quanto non ne attribuiscano a un camion giocattolo.
Forse per me è ancora così. Forse la fase egoistica a cui sono ferma dai 14 anni non è mai passata.
Abbiamo un pedagogo in sala? Qualcuno mi aiuti a capire, perché per il momento mi sembra di essere circondata da maledetti camioncini dei pompieri.
Ho sempre avuto la convinzione di poter prendere gli altri e spostarli sulla mia scacchiera e fare e disfare a mio piacimento, modificare rapporti, situazioni, personalità e tutto il resto. Ho sempre creduto che le persone fossero al mondo per me, sugli scaffali del grande supermercato chiamato Umanità.

Adesso forse capisco che non è il tropismo, né il volere divino, neppure il destino, l'oroscopo o Piero Angela. Ciò che sta dietro le cose che accadono e a quelle che non accadono, le guerre, le carestie, l'economia e tutto il resto, sono le scelte. Degli altri.
E adesso chiudo gli occhi, anche se mi risulta davvero difficile credere che se lo faccio il mondo continuerà ad esistere.

sabato 21 giugno 2014

SAVE THE RHINO


Sono andata a sentire Trentemøller allo Zoom, e ho visto cose che non avrei voluto vedere.
Per non parlare della quantità di cose che avrei voluto vedere e invece non ho visto.
È stato strano, allucinante, meditativo.
Per prima cosa tutto in quel posto mi dava l'impressione di essere tornata indietro nel tempo: leggins stampati ovunque, converse all-star (giuro!), capelli stirati, gonne lunghe e nastrini nei capelli.
Ora: io rispetto il vostro stile boho, davvero; anche io adoravo le gonne a fiori, a dodici anni. Non mi sembra che quello fosse un concerto di Joss Stone, né che fossimo a San Francisco nei fottuti anni '70. Smettetela, siete più anacronistiche di un film di Petersen.
La maggior parte dei presenti era poser. Ma di quei poser senza criterio o gusto, e tutto sommato con quel piccolo ritardo da provincia: ragazze con la shatush, ragazzi con tagli di capelli nazisti. Ragazze coi capelli lunghi che nel 2012 li portavano corti rasati da un lato e che tra qualche mese li tingeranno di blu.
Persone che speriamo non vada mai di moda mangiare merda, o starebbero già prenotando un tavolo al Ristostronzi.
Non ho mai visto un posto con così tante persone fuori luogo e così poca droga, e ho l'impressione che l'uno fosse la conseguenza dell'altro.
Ma andiamo con ordine.
All'ingresso un guardiano dello zoo in tenuta militare e forte accento cumianese fungeva da tornello umano. Non so se vi sia mai capitato di immaginare un guardiano dello zoo, ma se vi è successo sono sicura che assomigliava a QUEL guardiano.
Dopo aver sborsato 20€ e aver lasciato frugare nella mia borsetta, mi consegnano un misero braccialetto di carta verde, che non reca alcun logo, data o scritta. Niente di niente. La cosa mi lascia abbastanza interdetta, poiché speravo che incluso nel prezzo ci fosse la possibilità di sgaggiarsela nei giorni seguenti. E invece no.

Una volta dentro mi aggiro lungo i sentieri piuttosto soddisfatta del fatto che ci sia ancora abbastanza luce da permettermi di vedere gli animali. E invece no, gli unici animali che avvistiamo sono fenicotteri e pellicani. Wow. Molto carini. Ma.dove.sono.tutti.gli.altri. 

Credo li abbiano nascosti, tenuti al riparo dai temibili clubberz della provincia di Torino.
Arrivati all'''anfiteatro dei rapaci'', nome che ti fa viaggiare con la fantasia e immaginare maestosi falchi pellegrini sorvolare in circolo l'arena mentre la folla urlante acclama
Trentemollo, scopro che si tratta di nient'altro che gradinate in finta pietra, con un piccolissimo parterre, braccato a vista dai buttafuori.
Tutti seduti e composti insomma.
Mentre aspettiamo trepidanti ho modo di incontrare tutte le persone con cui ho limonato dai 16 ai 19 anni, letteralmente. Tutte. Questo fatto mi convince ancora una volta che mi trovi nel passato e che debba far in modo di non incontrare la vecchia me o ciò comporterebbe quel genere di casini che succedono quando viaggi nel tempo e fai cazzate.
Appena Trent mette piede sul palco gran parte delle persone - me compresa - si spostano nel parterre.
C'è molto fumo e raggi chiari quasi paradisiaci. Da quel poco che vedo noto che in molti (già perché sono molti
sul palco) indossano cappelli alla Pete Doherty. Mmh.


Ci sono due donne. Fanno la peggiore robot dance che io abbia mai visto.
Il fumo non accenna a dissiparsi e Tre
nt inizia a scaldarsi sul serio.
Io mi trovo tra la folla, in piedi, assai vicina al ''palco''.

Qualcosa nel comportamento delle persone mi turba e mi fa pensare che nessuno di loro sia mai stato a una serata del genere. Per prima cosa applaudono e urlano ''bravo'' nel passaggio da un brano all'altro, proprio come se fossero a un concerto di Mannarino.
Davanti a me una coppia limona ininterrottamente, e non una coppia di sconosciuti sotto MD, no. Una coppia di fidanzati. Limona. In prima fila. E invade il mio spazio vitale. Questa scena mi ha
fatto passare una volta per tutte la voglia di avere un ragazzo.
Durante i brani più tranquilli e riflessivi, quelli in cui si dovrebbe stare tutti in religioso
silenzio e viaggiarsela ognuno nel proprio piccolo universo di cazzi propri, la gente PARLA. Loro parlano. Di qualsiasi cosa. Della partita. Del loro trasloco. Dei fottuti cambi di stagione. E proprio mentre sto pensando irritata a questo fatto, il tizio di fianco a me con maglietta rossa dei MCR (I wish I was joking but I'm not) mi chiede perché sia triste. Penso a una risposta gentile e definitiva, ma poi mi viene in mente che rispondendogli diventerei una di loro, una di quelli che parlano. Mi limito ad alzare le spalle.
Trent è sempre più incazzato (in senso buono) e ci si avvicina alla fine del concerto.
Per l'ultimo brano chiama tutti sul palco, che poi altro non è che un prato con un'inspiegabile pozza d'acqua al centro. Rischio di slogarmi la caviglia, ma supero con agilità gli ostacoli e mi godo il momento più figo e liberatorio della serata.

A seguire Dj Lollino o qualche altro ridicolo nome poco invitante. Mi allontano, c'è una strana atmosfera da festa di paese.
Raggiungo la macchina e mi godo la vera festa della serata: le teddy chips.



martedì 17 giugno 2014

HO LETTO TROPPO SARTRE


Credo di essere triste, tra le altre cose, perché non diventerò mai una blogger di successo.
Ho passato l'ultimo mese a leggere blog di altri e a iniziare post per poi abbandonarli dopo cinque righe.
Se avessi una schiera di seguaci, invece, mi basterebbe scrivere di quanto sia dispiaciuta per non aver aggiornato il blog nell'ultima settimana o stilare una serie di 'regole per  iniziare a' tanto pretenziose quanto pretestuose (sì, parlo di te, unasnob).
E invece non sono una blogger famosa.
Non perché creda di non poterlo diventare, beninteso, semplicemente perché non ne ho voglia.
O forse il mio problema è che non ho twitter?
Ma lasciate che vi spieghi il mio ragionamento: sono talmente presuntuosa che credo di avere il potenziale per diventare famosa, e di scrivere meglio di molte e molti blogger in circolazione, solo di non avere successo perché in un certo modo sono io a volerlo. Sono convinta di avere talento, ma di non volerlo investire per pigrizia, o forse perché ho letto troppo Sartre.
È che ancora non mi sembra di aver trovato una strada, un titolo, un'aspirazione.
Insomma, non so di cosa parlare.
O meglio: mi sembra che non abbia senso parlarne su un blog.
Voglio dire, sono ancora piuttosto scettica nei confronti della comunicazione.
Nonostante questa sia da milioni di anni il pilastro portante della convivenza umana e l'indispensabile punto di partenza di un mio futuro possibile/probabile/auspicabile impiego, in fin dei conti, se devo dirla tutta, non ho proprio tutta questa voglia di parlare con gli altri.
Adesso non vorrei iniziare il classico pippozzo scontato da persona che veste Disegual e adora gli animali, ma la comunicazione, l'interazione, lo scambio di parole è così fittizio e prevedibile che in molti casi diventa superfluo. Perché iniziare un discorso che so benissimo dove porterà? Se non possiamo parlare davvero e dirci quello che vogliamo, allora non facciamolo.
E per concludere alla mia solita maniera con una frase lapidaria, eh no, niente, non so proprio cosa dire.

sabato 26 aprile 2014

L'INSOSTENIBILE MEDIOCRITÀ DELL'ESSERE


"Ma cosa ti succede Madame ?"
"Ho iniziato ad andare da uno psicoterapeuta"
"Beh, fa parte del tuo personaggio"
Questo è quanto mi diceva Lodovico, dall'alto dei suoi mustacchi all'insù e dei suoi vestiti di un'epoca sbagliata, quando con suo e mio grande stupore accossentivo ad effusioni tanto rituali quanto superflue : i bacini sulla guancia. Effusioni alle quali fino a quel momento mi ero opposta con fermo ed orgoglioso disagio.
Il fatto che Lodovico, che vive con ostentazione come un dandy del XX secolo, mi accusasse di poseraggio, non solo mi offendeva ma mi lanciava degli inequivocabili segnali d'allarme. Per la prima volta in tanti anni di mosse scelte con cura affiorava alla mente il pensiero che forse, tutto sommato, sono tutte stronzate.

"Sei uno stereotipo vivente, Francy, non puoi leggere Céline."
"E perché no ?"
"Perché è il solito francese che non si incula nessuno, partigiano, e col nome di sua nonna."
"Era antisemita."
"È lo stesso."
Perché vedi Francy, il fatto che Céline fosse antisemita o partigiano non cambia niente, come non cambia niente che tu indossi quelle ironiche camicie a fiori, che porti sotto il braccio libri ingialliti o che tu riempia le moleskine di frasi scritte da altri ; perché si vede benissimo che sei cresciuto a seghe, sensi di colpa e romanzi di Baricco.
E un giorno capirai che nonostante tu creda che essere famosi su Facebook ti renda una persona migliore di me e nonostante tutte quelle notti passate a leggere le biografie su wikipedia di scrittori esistenzialisti, le cose in cui credi, i vestiti che indossi, le tue ambizioni sono tutte stronzate.

Vedete, forse finalmente ho capito che la mia grande tragedia, quella che non mi fa alzare dal letto o avere voglia di parlare, è che non sono abbastanza ricca né abbastanza povera per vivere una vera tragedia. E per quanto io mi sforzi di credere che il mio problema sia che non trovo le scarpe giuste e che non diventerò mai famosa, forse anche io, a poco a poco, mi sto rendendo conto che sono tutte stronzate.
E la vera ingiustizia è che è inutile che cerchi di vivere come se fossi la protagonista di uno di quei film indipendenti pieni di silenzi, persone brutte e paesaggi non convenzionali che tanto dico di adorare, perché nella vita nessuno ti fa dieci minuti di applausi alla fine.

venerdì 21 marzo 2014

GRANO SARACENO


« Potresti scrivere di tutti i cessi in cui hai sboccato, sul tuo blog ! »
Mi proponeva Fausto tenendomi la fronte mentre mi liberavo nel water di casa sua dagli effetti della mancata cena e da ogni inibizione.

Tre ore prima gli spiegavo, fingendo di essere del Tennessee, che tutti gli americani sono circoncisi, mentre Cassandra col suo culetto accento deliziosamente argentino, portava via i nostri bicchieri ormai vuoti.
Appena dopo quel momento invece, scoprivo che il coinquilino fiorentino di Fausto non era altro che il mio ritrovato cugino, figlio di quello zio toscano inghiottito dalla vita. Per poi scoprire con altrettanta sorpresa che il mio amato cugino con cui credevo di stare parlando al telefono non era in realtà mio cugino e quello che tenevo all'orecchio non era un cellulare bensì la manica della giacca del mio vicino di tavolo.

La mattina seguente mi ritrovavo nella cucina di quella casa sconosciuta, a vomitare nel lavandino tra i piatti sporchi, mentre la ragazza di colui che avevo cercato di costringere nel mio letto preparava te allo zenzero e spalmava dell'avocado su una fetta biscottata.
« Quindi non sei vegana ? » Mi chiedeva senza ottenere risposta. In quel momento stavo cercando di deglutire l'orribile biscotto al grano saraceno che avevo in bocca e con lo stesso grande sforzo tentavo di ricordarmi se avessi aperto il rubinetto dopo aver sboccato. « No » rispondevo, ad entrambe le domande, qualche istante più tardi.

Dovevo lasciare quella casa prima che i ricordi della notte precedente si facessero troppo pesanti. Quando sei in hangover e indossi gli stessi vestiti da più di 24 ore niente è più accogliente dell'atrio di Palazzo Nuovo.
Percorrevo via Ormea e mi immergevo in un'approfondita introspezione, respingendo i conati e la voglia di dormire, quando noto con curiosità un signore vestito di giallo che aspetta su delle strisce pedonali altrettanto gialle, evidentemente senza alcuna intenzione di attraversarle. Il mondo è un posto rassicurante e meraviglioso quando si ha dormito meno di sei ore.
Le persone, al contrario, hanno facce torve e sguardi accusatori, come se sapessero, come se l'altra sera mentre pisciavi fuori dalla tazza ci fossero state anche loro a guardare, a vedere tutto per poi puntare il dito il mattino seguente.
Gli stessi sguardi li ho poi ritrovati una volta raggiunta via sant'Ottavio, in tutti quegli universitari sulle sedie di plastica del bar Genesi, con i loro occhiali da sole e la loro irrimediabile mediocrità.
« Voi non capite » digrignavo fra i denti, mentre li superavo. Perché nella vita non contano i vostri collettivi, gli esami di filosofia cristiana o le vostre maledette biciclette. Quello che conta davvero è che il bagno dove smaltisci il doposbornia sia abbinato al tuo abitino.

domenica 2 marzo 2014

ALASKA


« A volte ho l'impressione che tu faccia le cose solo per raccontarle »
« Happiness only real when shared »
Così rispondevo alla mia amica bacchettona premendo il tasto 'condividi' al mio selfie con le manette ai polsi nella volante dei carabinieri.
Voglio dire, capita a tutti di non vedere l'ora di tornare a casa dalle vacanze a Barcellona per poter creare l'album ''Hasta la vista !'' su Facebook, no ?
E non vedo niente di strano nell'avere salvati nella cartella bozze del cellulare una lista di status ad effetto da postare al momento buono.
O nel maledire Instagram perché non carica quel video in cui voi ballate sulle note dei Nouvelle Vague il sabato sera ubriachi e vi divertite un sacco.

Il fatto che la vostra vita virtuale sia non solo una conferma della vita reale ma anche in qualche modo la versione più fica di voi stessi non mi fa dormire la notte, in realtà.
Il fatto che la cosa che dica più spesso ultimamente sia ''ho aperto un blog'' e non per esempio ''ciao come va ?'' mi fa venire voglia di vivere in Alaska per il resto della mia vita.
Il fatto che oltre alla volontà di 'fare le cose' ci sia la volontà di 'farle sapere', mi fa dubitare dell'autenticità di qualsiasi intento. Sto parlando con voi, ragazzine che andate in missione in Guinea Bissau per avere una foto profilo circondate da bambini neri magri e sorridenti.

È tutto così grossolanamente ostentato che se non esisti su un qualsiasi social network comincio a dubitare della tua esistenza fisica.
Se racconti una serata incredibile agli amici senza il supporto di prove video, audio o per lo meno il resoconto in diretta su FB non ti crederanno, se non segui quella band su Twitter allora non sei un loro fan, e se non hai Twitter allora che ti parlo a fare.

Se il sopravvivere a una giornata dipende dalla sopravvivenza della batteria dello smartphone allora c'è qualcosa che non va.
Il problema è che ci siamo dentro, tutti, e fino al collo.
Fino a che qualcuno non la smetterà e innescherà un domino umano di ritorno alla realtà non ne usciremo mai.
Non torneremo mai a mandarci gli sms, chiamarci o darci gli appuntamenti e bere i caffè e le birre e tutte le atre pretestuose bevande che negli anni '90 bevevamo. E magari un giorno non sapremo più scrivere senza una tastiera qwerty, o parlare, o esprimere le nostre opinioni fuori da un blog.
Non torneremo mai ad essere soli, ma soli davvero, senza che i nostri amici ci diano per morti se non rispondiamo ai messaggi su Whatsapp per più di sei ore.
Non potremo mai più essere liberi di ignorarci, senza che l'altro lo sappia, come è giusto e sacro si possa fare con i messaggi in chat.
E gli sconosciuti non potranno tornare ad essere sconosciuti ma saranno sempre in qualche modo nostri amici su Facebook.
Io vi giuro che vorrei davvero essere io la paladina dell'autenticità che veste alla marinara, ma poi come faccio a sapere quanti likes mi becco con questo post ?

domenica 16 febbraio 2014

GLI PSICOLOGI DI CIOÈ


Ho scoperto con divertita meraviglia che esiste un blog di recensioni di coppette mestruali.
Leggendolo ho scoperto con altrettanta meraviglia, un po' meno divertita, di non avere la minima idea di come sia fatta la mia vagina.
Perché? Forse perché ho sempre aspettato e sperato e voluto che fossero altri a metterci le mani, come se non fosse affar mio.

Per anni ho considerato l'autoerotismo un surrogato del sesso per ragazze bruttine, che ascoltano i Coldplay e con l'autostima più bassa del loro culone.
E mi viene da piangere e punirmi e ascoltare l'intera discografia di Joan Baez per questo.
Probabilmente a voi, resto del mondo, non serve che sia io a dire quanto sia importante farlo, ma credo che ancora tante ragazze abbiano bisogno di un incoraggiamento.

Cara Francesca, so che ti viene da pensare che mettere le mani lì sotto sia volgare e da sfigate e che ti ritorna alla mente l'espressione imbarazzata della tua catechista mentre cerca di spiegare il significato del sesto comandamento, ma fidati, ne vale la pena.
Con te stessa avrai i migliori orgasmi della tua vita e per i primi due anni di attività sessuale probabilmente anche gli unici.
La masturbazione non è qualcosa di cui vergognarsi o dal quale nascondersi ma un potentissimo strumento di (auto)controllo.
Perché per quanto ti possa sembrare assurdo pensarlo, Francy (ti posso chiamare così?), tu non hai bisogno di un ragazzo e masturbarti sarà il tuo modo per gridarlo al mondo, e soprattutto a quella stronzetta della tua vicina di banco.
Non devi dare ascolto agli psicologi di Cioè, alla posta del cuore e a tutti quelli che hanno contribuito alla tua formazione sessista. Ascolta me: scopriti, ascoltati, toccati, amati. Perché nessuno avrà sinceramente voglia di farlo al posto tuo.

Quando Luca smetterà di risponderti su Whatsapp e Simone non ti richiamerà dopo quel caffè insieme non cedere alla tentazione di ascoltare James Blunt e frignare abbracciata al cuscino (e scattarti foto col mascara sbavato e gli occhi gonfi e rossi da mandare in chat in un disperato tentativo di impietosirli) ma chiudi la porta della tua cameretta, mettiti sotto le coperte e trasforma l'immagine di quei due Justin Bieber di provincia nei tuoi personali schiavi d'amore.
Vedi Francy, sarà difficile credere che così usciremo da secoli di patriarcato, soprattutto se hai quattordici anni e probabilmente non sai il significato di questa parola, ma ce la faremo. Perché io credo in te, e anche tu devi farlo.
L'acne giovanile se ne andrà e tra due anni, vedrai, riderai con amarezza di quelle nottate passate a piangere perché Marika ti aveva detto che non avresti mai perso la verginità. Quello che però resterà per molto tempo è l'idea che se non piaci a nessun ragazzo tu non valga niente.
E ciò che mi fa arrabbiare tanto, forse più della segreteria di Unito, è che tu, cara mia, sei me. E avrei davvero voluto dirti queste cose tanti anni fa', se solo le avessi sapute.

martedì 11 febbraio 2014

AL CULMINE DELLA DISPERAZIONE (O COME VIVERE CON 150€ AL MESE)

Mi sono svegliata in un lago di sudore e con i pensieri più impastati della saliva nella mia bocca. 
Avevo l'angosciante e terribile sensazione di aver dimenticato qualcosa, qualcosa di importante.
Poi ho ricordato il mio sogno: raccoglievo monete da 1 centesimo l'una in fila all'altra a formare un fiabesco sentiero che mi portava, monetina dopo monetina, all'ingresso dell'Ekom.
Erano 76, i centesimi.
Neanche un pacco di mais tostato.
Forse una lattina di Energia.
Ho cominciato ad avere fame.
Ecco cosa avevo dimenticato.
Mangiare.
Da tre giorni.


Voler avere una vita indipendente senza un lavoro è il più grande dramma e paradosso della nostra generazione, secondo solo all'abbigliamento vintage.

Se anche la vostra vita è un pendolo che oscilla tra sensi di colpa affogati nella Tequila ed elemosina ai genitori ecco una lista di consigli per vivere con 150€ al mese (affitto escluso):

1) Non comprate cibo che costi più di 1 €

All'inizio potrà sembrarvi difficile e poco salutare, ma quando il vostro fisico sarà perfetto per la prova costume mi ringrazierete.
Questo vuol dire dire addio alla carne. Lo so, anche a me dà terribilmente fastidio rientrare in quell'insopportabile e supponente setta detta 'vegetarianismo'. La differenza tra voi e loro è che voi potrete guardarli con sdegno mentre sgranocchiate le vostre croccantelle al bacon, mentre loro, con quei tristissimi snack al sesamo, cercheranno di convertirvi alla dieta crudista.

Cibi consigliati: - legumi in scatola - tonno - verdura - noodles - pasta - pelati in scatola - frutta - patatine - pane per toast - biscotti

2) Non mangiate fuori

Valido per tutti eccetto i fortunati possessori di ticket restaurant. Cinque euro a pasto è molto più di quanto le vostre tasche si possano permettere. Preparatevi pranzi al sacco e thermos di caffè e salutate per sempre bar/paninoteche/kebabbari. Mangiare cibo cucinato da voi potrà inoltre aiutarvi a fare colpo su ragazzetti vegani, sempre che lo vogliate.

Ricette consigliate: - pasta al sugo - insalate di ceci/mais e sedano - toast - verdure saltate

3) Prestate soldi nei periodi di floridità

Avete ricevuto un centinaio di euro per il vostro compleanno e non sapete che farvene? Fate prestiti a tutti, potrete riscuotere nei periodi di magra. In fondo è a questo che servono gli amici, no?

4) Smettete di bere


No okay, non potrei mai chiedervi un sacrificio del genere, soprattutto se siete messi così male da dover seguire i consigli precedenti. Quello che vi chiedo però è smettere di comprare alcool al bancone di un bar. Siete giovani e scommetto che avete tutte le carte in regola per trovare qualcuno che paghi quel gin lemon al posto vostro.
E poi, se c'è una cosa (una sola) che gli spagnoli ci hanno insegnato è che c'è un posto dove puoi comprare tutto l'alcool che vuoi a basso prezzo: si chiama SUPERMERCATO. Credo che nessuno abbia mai avuto il coraggio di bere i coloratissimi succhi di frutta Lidl se non diluiti da abbondanti dosi di Vodka. Cominciate a mettere da parte bottiglie di plastica e comprate borse più capienti, quel Vodka-Puertosol non si porterà da solo.

Alcolici consigliati: - Amaretto Armilar (Lidl, 3.99€) - Limoncino (Ekom, 2.90€) - Birra Viktor (Unes, 0.75€ lattina)

5) Non comprate vestiti

Perché spendere 15€ per una camicia da boscaiolo nuova di zecca quando l'armadio di vostro nonno ne è pieno? Non c'è niente di cui avete davvero bisogno che non si possa trovare nel guardaroba dei vostri parenti, fidatevi. E per tutto il resto c'è il Balon.

6) Smettete di comprare sigarette

I vostri amici vi odieranno per i primi tre mesi, e saranno restii all'idea. Tutto ciò che dovete fare è far credere di avere intenzione di smettere di fumare.
Appena avranno bisogno di compagnia nel gelido cortiletto per la pausa sigaretta saranno ben lieti di offrirvene una.
Vi basterà comprare un pacchetto da dieci (rigorosamente a 2€) per il weekend per dare l'idea di non essere dei parassiti della nicotina.
Per il resto della settimana: il mondo è un mare pieno di pesci fumatori, come potranno dire di no a quegli occhietti?

7) Camminate

Non avete una macchina (o comunque i soldi per la benzina). Vi hanno rubato la bicicletta. 1.50 € per un viaggio in metro è un furto che nemmeno Riccardo III d'Inghilterra. Camminate. Non c'è luogo che non possa essere raggiunto a cavallo dei vostri pantaloni. Specialmente se è notte e siete ubriachi. Usate quelle gambette e non dovrete nemmeno rimpiangere di non avere soldi per iscrivervi in palestra, thigh gap assicurato ;)




domenica 26 gennaio 2014

I cinque motivi per cui non dovreste MAI aprire un blog


Arriva un momento, nella vita, in cui uno capisce che non può continuare ad aspettare che sia Rob Brezsny a dirti cosa fare.
Un momento in cui la distanza tra ciò che stai cercando di diventare (uno stronzo qualsiasi che non ha bisogno di un lavoro vero per vivere) e ciò che non sarai mai (ricco, famoso e sentimentalmente stabile) è troppo breve anche solo per pensare che alzarsi da quel letto sia una buona idea.
In quell'istante capisci che non potrai fare a meno di deludere il tuo professore di filosofia e no, non sarai mai 'qualcuno'.

Quello è il periodo in cui fare cose - qualunque tipo di cose - sembra l'unica soluzione all'apatia esistenziale
e si decide di aprire un blog. Il nichilismo è il più viscido dei serpenti, amici miei, ma un blog non risolverà i vostri (o i miei) problemi.

Ecco i 5 motivi per cui VOI non dovreste mai aprire un blog
(ma io sì):

1)
Non sapete scrivere
Non ve ne faccio una colpa, c'è chi ci riesce e chi non ci riesce. Ma proprio perché voi non ci riuscite NON fatelo. Leggere ricette o istruzioni per truccarsi è di per sé abbastanza doloroso, il vostro uso esuberante di punteggiatura e abbreviazioni non facilita o rende più piacevole la lettura. Per nulla.

2)
Non sapete DI COSA scrivere
Devo ammetterlo, questo è un punto che a lungo ha messo in crisi anche me.
Forse siete convinti che parlare di sesso/serate/persone con piglio personale vi renda originali, pecore fuori dal gregge o quantomeno persone interessanti, ma no. Leggere i vostri post non solo annoia terribilmente ma fa convincere persone come me che io sia migliore di voi. Questo provoca una reazione a catena più potente del ciclo della vita, della fame del mondo e del sistema capitalistico per cui chi si crede migliore di voi inizia un blog, e non c'è bisogno che concluda questa frase.

3)
Non diventerete mai famosi
Lo so, lo so benissimo che siete convinti che la vostra brillante ironia non passerà inosservata dai redattori di Vice e in men che non si dica avrete una rubrica tutta per voi (effettivamente è ciò di cui sono convinta anch'io!) ma fidatevi, non succederà. Semplicemente perché non è così che funziona la vita. O, come direbbe Britney, 'You wanna live fancy, live in a big mansion, party in France/ you better work bitch'. E con lavorare intende, e io e Niccolò Contessa con lei, un lavoro vero (di quelli proprio senza glamour). Vuoi mettere il fascino vintage di un lavoro di quelli che non si usano più? Fare i fotografi freelance o i tatuatori è mainstream. Il pizzaiolo, quello sì che è sidestream.

4)
Un giorno vi pentirete di tutto ciò
C'è qualcosa che avete scritto in passato di cui non vi vergognate oggi? Io dico di no. Provate a pensare agli status che scrivevate su Facebook nel 2009 o ai diari che tenevate nel primo biennio universitario, non state cominciando a sentire caldo dietro le orecchie?
Ecco.

5)
Diventerà presto un fardello
Ciò che contraddistingue la nostra generazione, oltre l'insensibilità e l'ennui esistenziale, è l'incapacità di concentrarsi.
Non riuscite a vedere un film di Gus Van Sant intero, non avete mai finito un solo numero di Dylan Dog, come potete pensare che il vostro blog vi sembrerà un'ottima trovata per più di due settimane? Finirà nello scatolone delle cose iniziate e mai finite, insieme a Lost e alla vostra carriera universitaria.




giovedì 23 gennaio 2014

Seneca



« Vedi Madame, non puoi continuare a scappare » mi diceva Giacomo visibilmente scosso mentre chiudevo senza una parola la portiera della macchina e la nostra relazione, prima di partire per l'Erasmus.
Giacomo non poteva immaginare che tre mesi più tardi la stessa frase mi sarebbe stata ripetuta da due affannate e incredule guardie di H&M, nella baixa di Lisbona, mentre ancora stringevo la refurtiva (uno smalto da 0.95€) tra le mani.

O che sette mesi dopo sarei stata io a dirlo allo stronzo studente americano con cui avevo condiviso stanze vuote, fluidi corporei e senso di inadeguatezza prima che capisse che l'America aveva bisogno di lui e no, non poteva proprio restare. E così, mentre mi rendevo conto che era troppo tardi ormai per bucare i preservativi (ma perché non pensarci prima!), davanti al gate mi lanciavo in un ultimo, disperato tentativo :
« Ma Matty ! How can-a you do thiss to mee ?! Please don't go away »
«  You don't understand baby doll, I just can't live without corndogs »

Ovviamente sto scherzando.
Non mi ha mai chiamata baby doll.

Quello che il povero Giacomo poteva immaginare, però, è che oggi me lo senta dire da mia madre dopo averle spiegato i miei piani per il futuro.

Vedete amici, non mi reputo certo una campionessa di esame di coscienza, ma una cosa l'ho capita : per quanto allettante possa sembrare, la fuga non è mai una soluzione.

[A meno che, ovviamente, non si tratti di sgattaiolare fuori dal letto di uno sconosciuto dopo una notte di sesso insoddisfacente oppure, che ne so, lasciare un party in cui sono presenti più di tre ex fidanzati.]

Insomma Seneca c'era arrivato duemila anni fa, quando scriveva a quel debosciato di Lucilio ''inutile che te ne vai in giro, quello che cerchi, la droga felicità, la puoi trovare ovunque'', o qualcosa del genere.
Quello che voglio dirvi è che svegliarvi nel vostro studiò in affitto con vista sul Moulin Rouge non vi farà sentire meno tristi. O meno grassi. O Amélie Poulain.
Potrete cambiare continente, o correre più veloci del vento ma il magone ci sarà, proprio come la clamidia, a ricordarvi che dal senso di insoddisfazione e dalle malattie veneree non potete scappare.
Quindi prima di aprire la pagina di Easyjet, se vi sentite tristi, provate a parlarne con qualcuno. Che a Berlino manco lo capiscono l'italiano.