venerdì 21 marzo 2014

GRANO SARACENO


« Potresti scrivere di tutti i cessi in cui hai sboccato, sul tuo blog ! »
Mi proponeva Fausto tenendomi la fronte mentre mi liberavo nel water di casa sua dagli effetti della mancata cena e da ogni inibizione.

Tre ore prima gli spiegavo, fingendo di essere del Tennessee, che tutti gli americani sono circoncisi, mentre Cassandra col suo culetto accento deliziosamente argentino, portava via i nostri bicchieri ormai vuoti.
Appena dopo quel momento invece, scoprivo che il coinquilino fiorentino di Fausto non era altro che il mio ritrovato cugino, figlio di quello zio toscano inghiottito dalla vita. Per poi scoprire con altrettanta sorpresa che il mio amato cugino con cui credevo di stare parlando al telefono non era in realtà mio cugino e quello che tenevo all'orecchio non era un cellulare bensì la manica della giacca del mio vicino di tavolo.

La mattina seguente mi ritrovavo nella cucina di quella casa sconosciuta, a vomitare nel lavandino tra i piatti sporchi, mentre la ragazza di colui che avevo cercato di costringere nel mio letto preparava te allo zenzero e spalmava dell'avocado su una fetta biscottata.
« Quindi non sei vegana ? » Mi chiedeva senza ottenere risposta. In quel momento stavo cercando di deglutire l'orribile biscotto al grano saraceno che avevo in bocca e con lo stesso grande sforzo tentavo di ricordarmi se avessi aperto il rubinetto dopo aver sboccato. « No » rispondevo, ad entrambe le domande, qualche istante più tardi.

Dovevo lasciare quella casa prima che i ricordi della notte precedente si facessero troppo pesanti. Quando sei in hangover e indossi gli stessi vestiti da più di 24 ore niente è più accogliente dell'atrio di Palazzo Nuovo.
Percorrevo via Ormea e mi immergevo in un'approfondita introspezione, respingendo i conati e la voglia di dormire, quando noto con curiosità un signore vestito di giallo che aspetta su delle strisce pedonali altrettanto gialle, evidentemente senza alcuna intenzione di attraversarle. Il mondo è un posto rassicurante e meraviglioso quando si ha dormito meno di sei ore.
Le persone, al contrario, hanno facce torve e sguardi accusatori, come se sapessero, come se l'altra sera mentre pisciavi fuori dalla tazza ci fossero state anche loro a guardare, a vedere tutto per poi puntare il dito il mattino seguente.
Gli stessi sguardi li ho poi ritrovati una volta raggiunta via sant'Ottavio, in tutti quegli universitari sulle sedie di plastica del bar Genesi, con i loro occhiali da sole e la loro irrimediabile mediocrità.
« Voi non capite » digrignavo fra i denti, mentre li superavo. Perché nella vita non contano i vostri collettivi, gli esami di filosofia cristiana o le vostre maledette biciclette. Quello che conta davvero è che il bagno dove smaltisci il doposbornia sia abbinato al tuo abitino.

domenica 2 marzo 2014

ALASKA


« A volte ho l'impressione che tu faccia le cose solo per raccontarle »
« Happiness only real when shared »
Così rispondevo alla mia amica bacchettona premendo il tasto 'condividi' al mio selfie con le manette ai polsi nella volante dei carabinieri.
Voglio dire, capita a tutti di non vedere l'ora di tornare a casa dalle vacanze a Barcellona per poter creare l'album ''Hasta la vista !'' su Facebook, no ?
E non vedo niente di strano nell'avere salvati nella cartella bozze del cellulare una lista di status ad effetto da postare al momento buono.
O nel maledire Instagram perché non carica quel video in cui voi ballate sulle note dei Nouvelle Vague il sabato sera ubriachi e vi divertite un sacco.

Il fatto che la vostra vita virtuale sia non solo una conferma della vita reale ma anche in qualche modo la versione più fica di voi stessi non mi fa dormire la notte, in realtà.
Il fatto che la cosa che dica più spesso ultimamente sia ''ho aperto un blog'' e non per esempio ''ciao come va ?'' mi fa venire voglia di vivere in Alaska per il resto della mia vita.
Il fatto che oltre alla volontà di 'fare le cose' ci sia la volontà di 'farle sapere', mi fa dubitare dell'autenticità di qualsiasi intento. Sto parlando con voi, ragazzine che andate in missione in Guinea Bissau per avere una foto profilo circondate da bambini neri magri e sorridenti.

È tutto così grossolanamente ostentato che se non esisti su un qualsiasi social network comincio a dubitare della tua esistenza fisica.
Se racconti una serata incredibile agli amici senza il supporto di prove video, audio o per lo meno il resoconto in diretta su FB non ti crederanno, se non segui quella band su Twitter allora non sei un loro fan, e se non hai Twitter allora che ti parlo a fare.

Se il sopravvivere a una giornata dipende dalla sopravvivenza della batteria dello smartphone allora c'è qualcosa che non va.
Il problema è che ci siamo dentro, tutti, e fino al collo.
Fino a che qualcuno non la smetterà e innescherà un domino umano di ritorno alla realtà non ne usciremo mai.
Non torneremo mai a mandarci gli sms, chiamarci o darci gli appuntamenti e bere i caffè e le birre e tutte le atre pretestuose bevande che negli anni '90 bevevamo. E magari un giorno non sapremo più scrivere senza una tastiera qwerty, o parlare, o esprimere le nostre opinioni fuori da un blog.
Non torneremo mai ad essere soli, ma soli davvero, senza che i nostri amici ci diano per morti se non rispondiamo ai messaggi su Whatsapp per più di sei ore.
Non potremo mai più essere liberi di ignorarci, senza che l'altro lo sappia, come è giusto e sacro si possa fare con i messaggi in chat.
E gli sconosciuti non potranno tornare ad essere sconosciuti ma saranno sempre in qualche modo nostri amici su Facebook.
Io vi giuro che vorrei davvero essere io la paladina dell'autenticità che veste alla marinara, ma poi come faccio a sapere quanti likes mi becco con questo post ?